E’ tanto che non lo sento: è tantissimo che non lo vedo. Lo conobbi nel 1982 realizzando un servizio su di lui per la Rai: mi colpirono la sua timidezza, curiosamente fusa con una straordinaria determinazione. Nel giorno dei suoi 60 anni voglio salutarlo su questa pagina, regalandogli il mio augurio e il mio affetto immutato. Per non parlare della stima infinita.
Parlo di Astutillo Malgioglio, detto “Tito”: un giocatore “diverso”. Formalmente persino campione d’Italia come vice di un grandissimo portiere: perché questo era il suo ruolo, che lo portò fino alla Nazionale Under 21 di Vicini. Comunque, quasi 250 presenze da professionista, dal 1974 al 1992
Amava il suo lavoro: ma amava soprattutto la solidarietà. Anche nel pieno dell’attività sportiva aveva dedicato gratuitamente la sua vita (e mi piace pensare che lo faccia ancora) al recupero dei ragazzi disabili, in particolare alla rieducazione motoria dei bambini cerebrolesi. Per loro, coi suoi guadagni, aveva allestito nella sua città natale un centro appositamente attrezzato e dovunque si fosse trasferito non aveva mai cessato questo suo impegno. Un illuminato presidente, uno solo, gli aveva concesso una zona della palestra d’allenamento della squadra per poter trattare i suoi piccoli “pazienti” con un po’ più di riservatezza e di tranquillità
Secondo alcuni tifosi (e anche un allenatore che non c’è più) questa attività lo “distraeva”. “Perché ti ho messo fuori squadra?” gli disse appunto questo tecnico quando lo allenava in una squadra del nord. “Vallo chiedere ai tuoi handicappati”. Un bruttissimo giorno un’intera curva – la sua – la curva di una grande società e di una grande città lo insultò a sangue ed espose lo striscione con scritto “Torna fra i tuoi mostri”. Lui si tolse la maglia e ci sputò sopra (unico gesto di ribellione di un uomo mite nell’arco di un’intera vita) e se ne andò da quella squadra e da quella città. Quando tornò da avversario qualche anno dopo, andò a salutare i tifosi in segno di riconciliazione con un mazzo di fiori in mano: venne preso a insulti e bottigliate. Riguadagnò la sua porta col viso sanguinante.
Una sola volta si rivolse ai colleghi “ricchi” per avere un aiuto attraverso l’Associazione Italiana Calciatori. La raccolta fra tutti i professionisti italiani fruttò 700.000 lire (350 euro attuali). Ma ci fu anche un suo compagno di squadra poi diventato campione d’Europa e del Mondo con la propria Nazionale, che un giorno – incuriosito – volle andare a vedere il suo “lavoro”, quello per cui scappava via alla fine di ogni allenamento. Si commosse nel vederlo “accarezzare”, toltisi i guantoni da portiere, quei bimbi silenziosi. Gli staccò un assegno di tasca sua, cento volte superiore alla cifra “offerta” da tutti i giocatori italiani messi assieme
Una volta mi disse quasi con pudore: ”Dio mi ha dato delle buone mani: cerco di usarle meglio che posso fuori e dentro al campo”. Non è mai diventato ricco (ovviamente). “Il calcio è spesso apparenza, ma non tutto è da buttare. Per me è stato semplicemente uno strumento per avvicinarmi alla felicità”. Per non parlare di quella che ha dato lui a dei bimbi che potevano ringraziarlo solo con gli occhi