Ora che di Fabrizio abbiamo detto e scritto tutto (anche chi non era abilitato a farlo: ma la sua grandezza è stata proprio quella di rendere chiunque in grado di esprimere un – dolce – pensiero su di lui), ora che il dolore sarà filtrato dal crudele setaccio di chi l’ha “veramente” perduto, ora che l’unanime consenso e il sincero sgomento per la sua scomparsa hanno chiuso il cerchio su una figura umana e professionale assolutamente unica, fraterna e inclusiva, mi aspetto che ci sia anche qualcuno che gli chieda scusa. Lui spesso lo ha fatto (e non avrebbe dovuto): altri, parlo di dirigenti miopi, di critici spietati, anche di pubblico un po’ ingrato e alla ricerca di sensazioni sguaiate, dovrebbero aggiungere al miele delle meritatissime e delicate parole per questo uomo straordinario, anche l’onestà di dire “tu, con la tua bonomia, con la tua lealtà, con la tua generosità, ma anche con la tua delicata serietà hai fatto tantissimo per noi, garantendoci sempre un senso a volte apparentemente anacronistico di decoro televisivo: noi adesso abbassiamo la testa e al nostro commosso “grazie”, aggiungiamo il nostro dispiacere per non averti sempre capito”
Alla Rai ha dato tanto e, ovviamente, dalla Rai non ha ricevuto di meno. Ma nella storia di questo lungo matrimonio professionale (interrotto solo per pochi mesi quando passò a Mediaset per essere stato umiliato da qualche dirigente perlomeno ingeneroso) ci sono stati momenti anche molto difficili, quasi incomprensibili per chi, come lui, era stato protagonista di autentici cicli trionfali. Quando è stato messo in disparte ha chinato il capo con pazienza e modestia (senza mai alzare la voce): quando ha ritrovato la ribalta si è rimboccato le maniche con impegno e rispetto, senza mai coltivare né rivincite, ne vendette che non gli appartenevano.
Di certo ci sono soprattutto tre persone a cui deve dire grazie (fra i milioni che debbono dire grazie a lui): Michele Guardì non solo per averlo lanciato in orbita, ma anche per avergli inventato una second life quando la sua spinta propulsiva sembrava declinare; Paolo Ruffini direttore di Rai Tre che gli diede fiducia e lo riaccolse nella sua Rete quando alcuni geni di viale Mazzini lo avevano bollato come inidoneo a poter fare “cose importanti”; e Carlo Conti che col suo solo potere contrattuale di uomo vincente dell’Azienda gli ha spalancato le ultime bellissime porte che hanno tenuto acceso il suo amore per la vita. E poi ci sono centinaia di fedeli amici, di autori, di registi, di tecnici, di maestranze, insomma il suo grande, vero, silenzioso esercito aziendale che ora – assieme a milioni di persone – lo piange e lo onora con gratitudine, commozione e soprattutto sincerità
Il suo sogno era condurre il Festival di Sanremo. E lo avrebbe meritato. Se è vero com’è vero che in almeno tre-quattro edizioni gli hanno preferito personaggi che non avevano un briciolo della sua storia e della sua solidità e in altre tre occasioni hanno chiamato conduttori di Aziende concorrenti. Adesso è facile e soprattutto è giusto elogiarlo e rimpiangerlo: ma è anche giusto dire la verità. Che a lui continua a fare onore: a qualcun altro, no!
Ma è anche adesso più che mai che Fabrizio deve cominciare a vivere: nella fertilità e nella maestosità del suo insegnamento umano e professionale. In questi due eterni giorni abbiamo scoperto che era una miniera non solo di tutto quello che è stato detto (entusiasmo, serietà, lealtà, garbo, simpatia, educazione, coraggio e nobiltà): ma anche di altruismo, di generosità e di solidarietà. E forse altro e altro ancora scopriremo di lui
Non disperdiamo il suo esempio e la sua lezione. Né come fabbricanti delle cose televisive, né come spettatori. Perché da lui tutti abbiamo tanto, tanto, tanto da imparare.
Fabrizio ci ha insegnato a bussare prima di entrare. E ora, in punta di piedi, vado a dirgli addio