E’ stato l’ultimo CT a farci vincere una Coppa del Mondo. Nel 2006 Marcello Lippi era un “ragazzo” di 58 anni. Oggi ne compie 70. Ed è tutt’ora un bel vedere: nella faccia e nello spirito.
Curioso: anche se Marcello dei tre tecnici mondiali della storia azzurra è sempre parso di gran lunga il più “giovane” (di certo il più giovanile), Bearzot – detto il “Vecio” – conquistò il titolo quando di anni ne aveva 54; Vittorio Pozzo invece vinse la prima Coppa Rimet addirittura a 48 anni e la seconda a 52
Sarà il marchio della sua versilianità. Sarà che ha sempre trovato nuovi stimoli (e ancora li sta trovando). Sarà, lo dico anche per farmi un po’ di coraggio, che la nostra è una buona generazione
Sarebbe quasi offensivo ricostruire la sua carriera e la sua gloria. A me piuttosto piace ricordare che Marcello ha imparato a vivere “sulla strada”, raffinando piano piano la sua crescita come uomo e come professionista ammirato e stimato ovunque, fino a diventare un autentico “eroe dei due mondi” (nel senso che è stato l’unico allenatore ad aver vinto una Coppa Continentale sia in Europa che in Asia)
E’ incredibile come sia assolutamente rimasto se stesso (al netto di qualche concessione alla diplomazia corrente per spirito di sopravvivenza). Io e lui ci siano sempre parlati con grande, provinciale franchezza. Gli riconosco straordinari meriti umani e calcistici: l’unica cosa che – per quel che conta – gli ho rimproverato è stata quella di aver ceduto alla tentazione di tornare a guidare la Nazionale per la seconda volta, un po’ per tigna e un po’ per noia, andando a spiaggiarsi (lui che è uno straordinario marinaio) nei Mondiali del 2010. Mondiali del cui esito infelice, per la verità, si assunse a pochi minuti dalla fine ogni responsabilità, dando una lezione di stile non raccolta da altri
In effetti avrebbe dovuto pilotare, seppur in un ruolo diverso, anche l’ultima Nazionale (quella sciaguratamente esclusa da Russia 2018). Ecco, lì sì che la sua esperienza e la sua competenza sarebbero state utilissime per impedire al suo coetaneo Ventura, abbandonato da una Federazione completamente groggy e impotente, di portarci al disastro. Ma Tavecchio, dopo averlo ingaggiato gli disse “scusi, mi sono sbagliato”
Voglio “raccontare” Lippi attraverso tre foto. La prima, la più ovvia, quella del suo trionfo mondiale: la seconda quelle di uno dei nostri tantissimi “meeting” musicali (entrambi propendiamo un po’ più per i Beatles che per i Rolling Stones) in questo caso radiofonico, quando cantò alla sua Simonetta “Questo nostro grande amore” di Fred Bongusto, la canzone che suggellò la loro storia infinita; la terza, quella di una campagna sulla sicurezza stradale per la quale gli domandai di fare da testimonial. Non sapevo come chiederglielo, conoscendo i suoi impegni. “Aiutami a trovare un solo motivo con cui posso convincerti, Marcello…”. “Perché siamo nonni – mi rispose – e cos’altro c’è di più importante della vita e della sicurezza dei nostri ragazzi? Dimmi dove e a che ora devo venire”